L’inviato Rai Alberto Puoti ci racconta la sua vita, tra famiglia, lavoro e nuove tecnologie per le persone ipoacusiche
Sfidare lo stigma sulla disabilità uditiva e dimostrare che eventuali limiti sono solo quelli che ci poniamo noi e non certo il mondo esterno. Ce lo ha spiegato bene Alberto Puoti, brillante giornalista Rai con una carriera di tutto rispetto che, smentendo i pregiudizi, ha permesso che la sua vita ruotasse intorno alla comunicazione
di Valentina Faricelli
Alberto, ci racconti la sua storia. La scoperta della disabilità e il desiderio di realizzare a tutti i costi i suoi sogni professionali.
Intanto grazie per l’opportunità di condividere un messaggio di emancipazione che vorrei fosse rivolto a tutti: oggi parliamo della sordità perché la medicina e la tecnologia offrono una normalità di vita impensabile fino a ieri, ma domani parleremo anche di altre disabilità e problemi. Le difficoltà sono tante – dall’infanzia all’adolescenza – e la cosa più difficile è imparare a riconoscerle e affrontarle come tali, come problemi legati alla sordità e non al nostro carattere. Noi sordi non siamo per forza come la sordità ci spinge ad essere: chiusi, introversi o timidi.
Quali sono state le difficoltà maggiori che ha incontrato nel suo cammino?
Io ho una sordità molto grave dalla nascita per cause genetiche. Sono portatore di apparecchi acustici da entrambe le orecchie dai 3 anni, ho imparato a parlare bene e ho sempre fatto una vita normale. Ma certo da piccolo avevo degli apparecchi enormi che nascondevo con folti capelli ricci. Mi vergognavo perché sapevo di essere diverso: un bimbo con gli occhiali – un “quattrocchi” come si diceva un tempo per schernirlo – in fondo non era così raro quanto uno come me. C’era la vergogna di non sentire sempre al primo colpo certe cose, soprattutto negli ambienti rumorosi. Di dover chiedere di ripetere le cose più volte e di essere scambiato per scemo. Tanto che spesso facevo finta di aver compreso una battuta. E poi le parole delle canzoni che tutti i miei compagni cantavano, sentendole alla radio, chi le capiva per poi cantarle in coro con gli altri? Dovevo studiare e prepararmi di più degli altri per non trovarmi impreparato. Senza contare che le lingue straniere sono sempre state molto difficili e solo da grande ho scoperto che, magari con molta più fatica degli altri, ma potevo impararle. Tutto questo, può sembrare poco ma, soprattutto negli anni in cui si forma il proprio carattere, può spingerti lontano dagli altri e favorire l’isolamento, per non esporsi alle incertezze e alle insicurezze che sono normali nella vita sociale e che sono amplificate dalla sordità.
Ha iniziato come autore televisivo poi è passato a essere inviato. Quanto è stata importante la tecnologia nell’affrontare queste disabilità?
Come giornalista di Rainews24, sono il primo inviato in diretta con orecchio bionico a sinistra (e apparecchio acustico a destra). Un primato mondiale! Grazie alla Rai sto facendo qualcosa per primo in Italia e sicuramente non sarò l’ultimo. Nella Bbc News c’è il bravo Lewis Vaughan Jones che ha fatto parlare di sé perché ha un orecchio bionico come me… Ma lui, a differenza di me, un orecchio buono ce l’ha! Il mio maestro Minoli mi manda per la prima volta in diretta nel 2011 per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Ho delle grosse cuffie ma per il resto me la cavo bene! A gennaio 2022 dall’orecchio sinistro la sordità diventa completa: sconcerto e paura. Continuo a lavorare sentendo da un orecchio solo, quello con la protesi, ma mi chiedo: e se peggiora anche quello? Per fortuna, anche se ci vuole un po’ per capirlo, una soluzione c’è.
A 45 anni, il 15 ottobre 2022, l’operazione a Piacenza con il professor Cuda per quello che chiamano impianto cocleare. Ma è un orecchio bionico, un nome più chiaro e anche più giusto: sento grazie a un impianto che invia impulsi elettrici al mio cervello. All’inizio sento come C1P8, il robottino di guerre stellari e l’adattamento è complicato, richiede mesi. Adesso ascolto musica in streaming diretto con il mio impianto. Faccio tutti i giorni il mio lavoro di inviato in diretta dal Parlamento e mi collego con il bluetooth contemporaneamente con lo studio e con la regia. Una situazione caotica e acusticamente sfidante che con la tecnologia bionica non mi dà problemi. Anzi mi dà dei super poteri.
Oggi si parla ancora di stigma, che rappresenta un ostacolo alla prevenzione, diagnosi e cura dei disturbi uditivi. Perché la società è così in ritardo di fronte a questa disabilità?
Il mio vuole essere un messaggio potente di normalità per quei milioni di persone nel mondo che non conoscono questa “rivoluzione silenziosa” e si arrendono alla sordità (lieve, media e profonda). Ma la sordità allontana dalle persone e dalla vita. A qualsiasi età. Eppure, come dice il professor Cuda, che mi ha operato, “la sordità non esiste più, esistono i problemi uditivi a cui oggi si può dare risposta”.
Perché secondo lei la società e la politica sono così indietro?
Ci sono tanti motivi: la paura e l’ignoranza spesso giocano insieme un gioco al rialzo. Intanto, la sordità è una pandemia silenziosa, un morbo insidioso che spinge le persone a fuggire dagli altri invece di aggredire il problema. Al punto che si identificano i sordi con quel 10% di parlanti la lingua dei segni – che ha tutto il mio sostegno e il mio rispetto – ma che rappresentano sempre una piccola minoranza rispetto al 90% di chi ha difficoltà uditive e può ricorrere a tutti gli strumenti che favoriscono l’oralità e l’integrazione completa nella società: apparecchi, terapie, operazioni e orecchi bionici. E questa percentuale, per fortuna è destinata ad aumentare in favore dell’oralità completa per chi, in un passato recente, sarebbe stato relegato ai margini della vita attiva e sociale. Ecco penso che siamo a un punto di svolta, un progresso medico e tecnologico tutto sommato veloce, che si è consumato in tre sole generazioni, deve essere registrato e recepito dal grande pubblico. Occorre una rivoluzione copernicana nella comunicazione e nella gestione politica della sordità.
Lei ha una bellissima famiglia ed è padre di 3 bimbi. Le hanno mai fatto domande sui suoi apparecchi acustici?
Certo, è un aspetto fondamentale della mia vita di marito e padre. Il mio problema mi permette empatia e comprensione per chi come il mio secondogenito Alessandro ha un’altra difficoltà come la celiachia. Ma soprattutto mi permette di ricevere i loro stimoli. La curiosità del più piccolo, Riccardo, per i momenti in cui sono senza apparecchi – al risveglio o al mare, per comodità o pigrizia – in cui lui come gli altri è abituato a parlarmi guardandomi in faccia per favorire la lettura del labiale. L’energia nei momenti cruciali: quando ho condiviso con mio figlio più grande, Federico, che all’epoca aveva 9-10 anni, la paura per l’intervento e per l’uso di un orecchio bionico. Mi ha detto: non ti preoccupare papà l’ho visto in un ragazzo che conosco. Poi c’è la pazienza infinita di mia moglie Elisabetta che sopporta i momenti in cui sono meno attento e più“sordo” del solito, per stanchezza o per stress. Anche se poi mi accusa di marciarci sopra, in fondo non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!
Il racconto e l’esempio di chi come lei ha affrontato con serenità un problema che sulla carta avrebbe dovuto ostacolare in prims la sua carriera lavorativa sono fondamentali per aiutare le persone a superare pregiudizi e paure quasi sempre ingiustificati e per questo la ringraziamo.
Il ringraziamento va tutto a voi, al vostro comparto, al lavoro degli audioprotesisti che con professionalità e pazienza accolgono e accompagnano le persone verso la riabilitazione uditiva. Ancora, ai medici e alle associazioni impegnate a promuovere la salute uditiva. Tutti insieme portate avanti uno straordinario lavoro per la sensibilizzazione e la prevenzione della sordità.
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