Le liste d’attesa rappresentano da anni uno dei nodi irrisolti della sanità pubblica italiana. È un fenomeno complesso e strutturale che incide profondamente sul diritto dei cittadini all’accesso equo e tempestivo alle cure, creando frustrazione, disuguaglianze e, nei casi più gravi, danni alla salute. Nonostante gli sforzi annunciati e i piani approvati a livello nazionale e regionale, il problema sembra lontano da una risoluzione definitiva, e anzi tende ad acuirsi in determinati territori e settori specialistici, tra cui anche l’assistenza protesica.
Secondo una recente indagine pubblicata da Altroconsumo e ripresa da Sky TG24 nel marzo 2025, oltre il 50% delle visite specialistiche non viene erogato entro i tempi massimi stabiliti dai codici di priorità previsti dal Servizio Sanitario Nazionale. Le attese possono superare anche i 90 giorni per una visita endocrinologica o una risonanza magnetica, mentre per un intervento chirurgico ortopedico, in molte regioni, si superano i sei mesi. In alcuni casi, soprattutto nel Sud e nelle isole, i pazienti si trovano costretti a rinunciare o a rivolgersi al settore privato, spesso a costi insostenibili.
In molte regioni per un intervento chirurgico ortopedico, si superano i sei mesi di attesa.
Un piano nazionale ancora in attesa di attuazione
Per rispondere a questa vera e propria emergenza sanitaria, il Ministero della Salute ha elaborato il nuovo Piano Nazionale di Gestione delle Liste d’Attesa (PNGLA) 2025-2027, attualmente in fase di valutazione presso la Conferenza Stato-Regioni. Questo documento aggiorna il piano precedente, risalente al triennio 2019-2021, e punta a introdurre strumenti di monitoraggio più trasparenti ed efficienti. In particolare, si prevede la creazione di piattaforme digitali regionali integrate, che consentano ai cittadini di consultare in tempo reale i tempi medi di attesa per ogni prestazione e struttura, e di effettuare prenotazioni secondo criteri di priorità clinica e prossimità territoriale.
Altro punto centrale del nuovo piano è il rafforzamento della garanzia dei percorsi “salta-coda”, ovvero quei meccanismi che dovrebbero tutelare i pazienti a cui è stato attribuito un codice di priorità elevato. Tuttavia, un’indagine condotta da Salutequità a gennaio 2025 ha mostrato che in molte realtà questi percorsi sono “nel caos”: non sempre i medici prescrittori hanno accesso a strumenti adeguati a indicare la priorità, e spesso i pazienti non vengono informati dei loro diritti né guidati correttamente nei percorsi di tutela. Di fatto, il rischio è che il tempo clinico venga scavalcato da quello burocratico.
Disparità regionali e soluzioni locali
Come spesso accade in sanità, il problema delle liste d’attesa si acuisce con le disuguaglianze territoriali. Mentre alcune Regioni, come l’Emilia-Romagna e il Veneto, riescono in parte a contenere i tempi con strumenti informatici avanzati e investimenti mirati, altre Regioni faticano a garantire anche le prestazioni più urgenti. È il caso della Calabria, della Sicilia e della Campania, dove i ritardi si sommano alla carenza cronica di personale sanitario, alle carenze infrastrutturali e a una gestione amministrativa poco efficiente.
Un esempio virtuoso viene dalla Regione Toscana, che ha annunciato a marzo 2025 un nuovo piano straordinario da 30 milioni di euro, destinato a potenziare l’offerta sanitaria nei prossimi mesi. Il piano prevede l’estensione dell’orario di apertura degli ambulatori specialistici, l’assunzione temporanea di personale sanitario, l’acquisto di macchinari diagnostici e il ricorso a convenzioni con il privato accreditato, sempre nel rispetto delle tariffe pubbliche.
Il ricorso al privato e il rischio di sanità “a doppia velocità”
L’allungarsi delle liste d’attesa ha comportato negli ultimi anni un massiccio ricorso alla sanità privata, con un aumento esponenziale della spesa sanitaria a carico dei cittadini. Secondo il rapporto 2024 di Censis e Rbm Assicurazione Salute, circa 14 milioni di italiani hanno pagato prestazioni sanitarie di tasca propria per aggirare le liste d’attesa. Questo fenomeno sta creando una sanità “a doppia velocità”, dove chi può permetterselo riceve cure tempestive, mentre gli altri sono costretti ad aspettare o a rinunciare.
Tutto ciò rischia di compromettere il principio costituzionale di universalità e uguaglianza del diritto alla salute, sancito dall’articolo 32 della Costituzione italiana. La mancanza di accesso nei tempi previsti non è solo un disagio logistico, ma una violazione dei diritti fondamentali della persona.
Serve un cambio di paradigma
Per affrontare in modo efficace e strutturale il problema delle liste d’attesa non bastano misure tampone. È necessario un cambio di paradigma, che metta al centro la pianificazione delle risorse, la trasparenza dei dati, la digitalizzazione dei servizi e, soprattutto, il potenziamento del personale sanitario. Medici, infermieri e tecnici sono spesso costretti a operare in condizioni di sovraccarico, con turni estenuanti e carenza di strumenti adeguati.
Inoltre, occorre rivedere il sistema delle prenotazioni CUP, oggi spesso rigido e farraginoso, e incentivare la collaborazione tra pubblico e privato in modo regolato e trasparente, affinché il privato non sia l’unica via per accedere alle cure, ma un complemento del sistema pubblico, a vantaggio dell’interesse collettivo.
Conclusione
Il problema delle liste d’attesa in Italia è il sintomo di un sistema sanitario che fatica a stare al passo con le esigenze della popolazione. Eppure, le soluzioni ci sono: serve volontà politica, visione strategica e coinvolgimento attivo degli operatori sanitari e dei cittadini. Perché il tempo di una visita non è solo un numero su un monitor: è il tempo di una diagnosi precoce, di una cura che può cambiare la vita, di un diritto che va garantito a tutti, senza condizioni.
Dario Ruggeri – Segretario nazionale FIA – ANA – ANAP
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