di Francesco Pavani*, Elena Giovanelli, Elena Gessa & Chiara Valzolgher
Immaginate di chiamare al telefono il vostro medico mentre siete per strada, circondati da voci e suoni del traffico. Il medico vi sta dando indicazioni sulla posologia di un farmaco che dovete assumere.
Lo ascoltate parlare, sentite le sue parole e vi sembra di aver capito le sue istruzioni. Ma avrà detto sedici o tredici gocce della medicina? Vi accorgete di essere incerti di quello che avete ascoltato e allora premete il telefono verso l’orecchio se udire meglio la voce del medico, vi spostate verso un angolo più riparato dai rumori e chiedete di ripetere le indicazioni per non sbagliare la posologia della medicina.
Nella vita quotidiana raramente viviamo in ambienti silenziosi. Più spesso siamo circondati da molteplici suoni, che possono anche diventare una cacofonia di rumori. Ricordiamo tutti di quelle volte in cui riconoscere i suoni è stato difficile, e siamo stati incerti su ciò che avevamo udito.
È del tutto normale perché ascoltare è un’abilità mentale complessa, soprattutto in contesti di rumore, quando il cervello deve dipanare un flusso sonoro dall’altro. Per facilitare l’ascolto possiamo scegliere di mettere in atto delle strategie, eliminando le fonti sonore distraenti, agendo sul nostro corpo per spostarci nell’ambiente, oppure chiedendo agli altri di ripetere. Esattamente come nell’esempio che abbiamo appena fatto, accorgersi che qualcosa non sta andando per il verso giusto è il primo passo per mettere in atto dei cambiamenti.
Per descrivere l’abilità di pensare al nostro pensiero, ovvero la capacità di riflettere sulle capacità della nostra mente inclusa la capacità di ascolto, gli psicologi hanno coniato il termine metacognizione. Si tratta di un’abilità fondamentale perché decodificare ciò che arriva dai nostri organi di senso non è mai un compito facile. Troppi stimoli entrano continuamente dalle porte dei sensi; spesso frammentati, incompleti e continuamente mutevoli. Anche se non ce ne rendiamo conto, decodificare questo insieme di informazioni è un percorso pieno di incertezze.
La metacognizione è l’abilità che ci permette, ad esempio, di chiederci se abbiamo veramente sentito sedici o tredici nelle parole del medico, se ricordiamo l’informazione che ci è appena stata data, se il nostro comportamento ha avuto le conseguenze desiderate o meno. È una forma di monitoraggio continuo di noi stessi.
Perché parlare di metacognizione in relazione all’ascolto e al benessere acustico? Perché da questa consapevolezza metacognitiva dipende molta della nostra capacità di accorgerci quando l’ambiente diventa acusticamente complesso (per troppi rumori sovrapposti) o addirittura dannoso (per rumori troppo forti). Soprattutto, è dalla consapevolezza che seguono le nostre azioni, la nostra capacità di mettere in atto strategie di auto-regolazione. Quando non siamo consapevoli di un problema, più difficilmente metteremo in atto delle strategie per affrontarlo e risolverlo.
Il mio gruppo di ricerca all’Università di Trento (CognitionAcross the Senses, CAtS: https://r1.unitn.it/cats) sta conducendo un progetto di ricerca sulla metacognizione e le strategie di auto-regolazione durante l’ascolto nell’adulto anziano, soprattutto nei contesti di rumore. Il progetto, finanziato dalla Fondazione Velux (https://veluxstiftung.ch), ha lo scopo di studiare quanto gli anziani con udito nella norma per l’età o gli anziani che vivono invece un inizio di perdita uditiva riescano ad essere consapevoli delle loro capacità di ascolto nelle situazioni di rumore (metacognizione uditiva), in che misura conoscano e attuino delle strategie per far fronte a queste difficoltà (strategie di auto-regolazione), e in che misura sia possibile potenziare queste abilità e strategie attraverso addestramenti specifici svolti in contesti di realtà virtuale o aumentata. Non ultimo il progetto sta mettendo a punto uno strumento (questionario) per sondare le abilità metacognitive nelle situazioni quotidiane d’ascolto.
Il questionario esamina quanto le persone tendano ad attribuire ciò che accade loro a ragioni interne o esterne e credano dunque di avere la possibilità di agire per modificare la situazione che vivono. Gli psicologi descrivono questa propensione con l’espressione inglese locus of control, che potremmo tradurre come il luogo di origine del controllo. Inoltre, il questionario esamina il grado di auto-efficacia (self-efficacy), ovvero quanto ciascuno si sente in grado di agire quando ritiene di poterlo fare.
Nel contesto dell’udito il locus of control si traduce in quanto le persone ritengano inevitabili (o meno) determinate difficoltà di ascolto. Inoltre, cattura quanto le persone sono convinte di poter agire per migliorare le loro capacità di ascolto (con aggiustamenti dell’ambiente, o anche con l’uso di apparecchi acustici o altri dispositivi biomedici o tecnologici).
L’auto-efficacia coglie invece la misura in cui ognuno si ritiene capace di compiere azioni di ascolto che ritiene possibili. Domande di locus of control del questionario sono, ad esempio: “Indipendentemente da quanto lo voglio, non riesco a capire bene ciò che ascolto” oppure “Non posso fare molto per impedire alle mie capacità di ascolto di peggiorare”. Tanto più la persona ha un locus of control interno tanto più sarà propenso a ritenere di poter agire. Esempi di domande sull’auto-efficacia sono invece: “Posso comprendere una conversazione al cellulare mentre c’è un rumore di sottofondo” oppure “Posso comprendere una conversazione con qualcuno che parla sussurrando”. Tanto più le persone si pensano auto-efficaci nell’ascolto tanto più si riterranno capaci di queste azioni.
I risultati del progetto ad oggi mostrano che gli anziani con udito nella norma per l’età non mostrano fragilità nella metacognizione dell’ascolto. Non è un risultato da dare per scontato perché è noto, ad esempio, che le persone anziane possono essere in difficoltà con le abilità di meta-memoria (ovvero la loro consapevolezza di quanto ricordano). Quando si tratta di ascolto, sono invece in grado di accorgersi delle difficoltà, dello sforzo e dei problemi di comprensione che incontrano, e hanno un senso di auto-efficacia e un locus of control non diverso da quello di adulti più giovani1,2.
Inoltre, abbiamo dimostrato che gli anziani sono in grado di accorgersi del vantaggio nell’ascolto che deriva dal poter vedere le labbra del parlante3.
Durante la lunga esperienza con le mascherine a seguito della pandemia COVID-19, ci siamo tutti accorti del fatto che ascoltare senza vedere le labbra è molto più difficile e oneroso. Questa difficoltà è solo minimamente riconducibile all’ostacolo fisico costituito dalla mascherina, ovvero il fatto che essa sia una barriera per i suoni emessi dal parlante. Piuttosto, è da attribuire alla mancanza di informazioni visive sui movimenti delle labbra che noi tutti, da quando eravamo bambini ad oggi e nella stragrande maggioranza dei contesti della vita quotidiana, utilizziamo durante la comprensione del parlato faccia-a-faccia4.
Scoprire che gli anziani rimangono consapevoli del vantaggio apportato dalla lettura labiale è utile perché guardare in volto coloro che parlano con noi è una delle più semplici strategie per udirli meglio in contesto di rumore.
Come anticipato la consapevolezza delle capacità di ascolto è uno dei determinanti delle nostre strategie di auto-regolazione. In uno studio recente abbiamo esaminato come lo sforzo esercitato durante l’ascolto influenzi la propensione a cercare le labbra per capire meglio ciò che è difficile udire. Nella ricerca abbiamo monitorato la lettura delle labbra seguendo il movimento degli occhi degli ascoltatori, e studiando anche la dilatazione pupillare come indicatore fisiologico dello sforzo di ascolto.
Questo studio ha permesso di mostrare che, nei giovani adulti, le strategie di lettura labiale sono influenzate dallo sforzo cognitivo esercitato, rivelando lo stretto legame tra sforzo di ascolto e lettura labiale durante la comprensione del parlato nel rumore. Stiamo ora ampliando queste ricerche verso le persone anziane con esperienze di ipoacusia lieve: una popolazione cruciale perché possiamo ipotizzare che siano proprio i primi livelli di ipoacusia a sfuggire alla consapevolezza. Inoltre, intervenire in questa fase con apparecchi acustici si associa ad una migliore garanzia di successo nell’uso di questi dispositivi assistivi dell’udito.
Sul tempio di Apollo a Delfi è scritta una massima in greco antico molto nota: “conosci te stesso”. La metacognizione d’ascolto è un esempio fondamentale di questa conoscenza di sé stessi, un modo per accorgersi delle difficoltà del proprio udito, dei contesti di rumore che minacciano il benessere uditivo e per poter cominciare ad agire su di essi: un passaggio fondamentale per non rinunciare mai all’ascolto.
Francesco Pavani* Francesco Pavani è professore ordinario di psicologia generale presso il Center for Mind/Brain Sciences dell’Università di Trento, e vicedirettore del Centro Interuniversitario di Ricerca “Cognizione, Linguaggio e Sordità” (CIRCLeS). Si occupa di percezione multisensoriale e metacognizione dell’ascolto in bambini, adulti e anziani con udito tipico o con esperienze di sordità, vissute con o senza ausili per assistere l’udito (es., apparecchi acustici o impianti cocleari). Coordina il gruppo di ricerca CognitionAcross the Senses, https://r1.unitn.it/cats, al quale afferiscono anche le Elena Giovanelli e Elena Gessa (dottorande presso il CIMeC) e Chiara Valzolgher (assegnista di ricerca post-dottorale presso il CIMeC).
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