Riportiamo l’interessante intervista (realizzata dall’ufficio stampa del CRS-Amplifon) al professore belga Jan Wouters, che parla di udito, neuroscienza e di nuove figure professionali indispensabili, come gli ingegneri biomedicali per il futuro della ricerca nel campo dell’udito e dei dispositivi per udire e relazionarsi con il mondo. Non è forse un caso che su 40 ricercatori del team di Wouters presso l’Università di Leuven (Belgio), due siano ingegneri biomedicali italiani.
I PROTAGONISTI DELL’UDITO
Intervista a Jan Wouters: il futuro? Miniaturizzazione degli Impianti
Più controlli e più ingegneri nella ricerca
Jan Wouters, professore presso la Leuven University, è a capo di un team di ricerca composto da 40 studenti da tutto il mondo, fra cui due giovani ingegneri biomedicali italiani. Al suo attivo 12 brevetti negli ultimi 10 anni. La medicina va avanti, ma senza le neuroscienze i risultati saranno più lenti: per recuperare l’udito, occorre comprendere molto bene il cervello. Fra i vari studi, il sistema AVATAR, un nuovo protocollo per test di comprensione uditiva ripetuti negli anni, e un nuovo modo di elaborare il segnale del parlato e dei rumori per ridefinire le dimensioni dei futuri Impianti Cocleari.
Jan Wouters, belga, classe 1960, professore universitario a capo di un numeroso gruppo di ricercatori della Divisione di Otorinolaringologia Sperimentale presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Leuven (Belgio), è omonimo di un allenatore di calcio olandese. La cosa curiosa è che entrambi i Wouters, medico e allenatore, sono nati nello stesso anno e, a modo loro, sono affini.
Abbiamo incontrato Jan Wouters medico e ricercatore a Bruges, in occasione del Congresso Internazionale CRS Amplifon che si è svolto nella pittoresca cittadina delle Fiandre dal 19 al 21 aprile 2018. I temi del Congresso erano tre: “It takes two: Binaural, Bimodal, Bifunctional”, “Sleep Disorders”, “Vertigo”.
Una vera e propria dichiarazione di intenti che la comunità scientifica, a livello mondiale, sta portando avanti a gran voce per vincere la sfida in campo otologico: poter restituire l’udito a chi l’ha perso e a chi lo perderà in futuro, sfruttando e modulando gli eventuali residui uditivi di ciascun orecchio (non a caso le orecchie sono due) e applicando differenti dispositivi (apparecchi acustici, impianti cocleari, apparecchi a conduzione ossea, stimolatori, etc.) per far sì che l’udito, attraverso il trattamento chirurgico, protesico o combinato, ritorni il più naturale possibile.
Ed ecco quindi le affinità del professor Wouters con l’omonimo ex centrocampista: in un certo senso il dottor Wouters allena e gestisce una squadra costituita da 40 ricercatori, impegnati su più fronti. Tra questi 40, ci racconta, due sono ingegneri biomedicali italiani, per altro molto bravi. Sono approdati al suo Centro Ricerche perché in Italia non hanno trovato la giusta collocazione.
Professor Wouters, come mai nel suo team di ricerca ci sono medici, ma anche diversi ingegneri?
Il nostro Dipartimento è stato appositamente creato per sviluppare la ricerca. Comprende l’area medica, ma non ci sono solo otorinolaringoiatri. Ci sono anche pediatri, geriatri, neurologi. Perché l’udito non può essere studiato solo dal punto di vista clinico di cura dell’orecchio, deve essere analizzato anche per le sue interazioni a livello del sistema nervoso centrale. E non solo: la perdita dell’udito impatta sia la vita del neonato che quella del giovane e dell’anziano. Stiamo sviluppando molte ricerche nel campo delle neuroscienze. Per quanto riguarda gli ingegneri biomedicali, sono abbastanza rari. Eppure, per sviluppare nuovi sistemi, soprattutto negli impianti cocleari, gli ingegneri sono fondamentali. A oggi gli ingegneri sono molto attivi nel campo della fisica, ma anche la medicina ha bisogno di loro! L’approccio della nostra Università è decisamente multidisciplinare e non è un caso che la Divisione di Otorinolaringologia Sperimentale sia parte del Dipartimento di Neuroscienze. L’80 per cento dei nostri studi è focalizzato sull’udito, ma stiamo svolgendo ricerche anche su patologie che crediamo correlate, come la dislessia, il declino cognitivo e altri problemi di apprendimento.
Professor Wouters, quali sono le ricerche più importanti che state portando avanti?
Ci stiamo concentrando molto su un nuovo modo di elaborare i segnali sonori – rumore, voce o melodia – negli impianti cocleari. A oggi ci sono ostacoli alla riproduzione perfetta dei suoni, ma noi stiamo cercando di bypassare i vari problemi, riducendo allo stesso tempo la grandezza del processore esterno. In futuro la parte esterna degli Impianti Cocleari (IC) sarà sempre meno visibile e io credo che questo aiuterà moltissimo ad accettare l’IC e a promuovere la sua diffusione laddove sia indispensabile.
Lei ha tenuto un intervento sulle differenze tra stimolazione “Bimodale” e “Bilaterale” e sui protocolli di utilizzo delle differenti modalità di amplificazione. Pensa che, in caso di sordità totale, sia meglio impiantare sequenzialmente o simultaneamente due impianti cocleari (a destra e a sinistra)?
Tutto dipende dal residuo uditivo. Non sono così positivo sull’impianto bilaterale simultaneo.
La sua è quindi una tecnica conservativa?
Non mi definirei conservativo, ma credo che sia fondamentale controllare il residuo uditivo e imparare a considerarlo. Con l’impianto cocleare, infatti, si distrugge completamente la possibilità di un recupero futuro. Allora è meglio fare un impianto e conservare e stimolare l’altro orecchio con residuo uditivo tramite apparecchi acustici, concentrandosi su come armonizzare il senso dell’udito con queste due modalità.
Lei ha parlato di interventi e studi multidisciplinari, che coinvolgono il cervello. Ci può descrivere brevemente cosa succede?
Stiamo cercando di capire come funzioni il cervello umano in presenza di nuovi suoni. Tutto questo è possibile grazie alle nuove metodiche di “visualizzazione” della corteccia cerebrale e del funzionamento delle varie sinapsi. Finora si sapeva che l’aerea dell’udito, se sollecitata, si comportava in una certa maniera, mentre, in caso di udito assente, non si rivelavano “movimenti” interni. Nei bambini piccolissimi era inoltre impossibile fare esami approfonditi. Ora invece siamo in grado di vedere cosa accade nel cervello di un neonato e come questo reagisca udendo suoni diversi: non solo si attiva l’area del cervello preposta all’udito, ma il segnale viene recepito anche da altre aree.
Quindi lei prevede un futuro in cui l’uomo sarà sempre più bionico?
Francamente non so se la società, intesa come sistema sanitario delle varie nazioni, si potrà permettere a livello economico di impiantare persone di oltre 85 anni d’età. Sarà molto meno oneroso sottoporsi a test da ripetersi periodicamente in modo da conoscere bene lo stato dell’udito e intervenire laddove sia necessario.
Quindi occorre una politica di educazione allo screening?
Certamente. Lo screening deve essere sempre più presente nelle nostre vite, non basta più l’accertamento precoce neonatale. Sappiamo con certezza che nel corso degli anni l’udito si modifica ed è per questo motivo che stiamo preparando dei test differenti: uno per soggetti anziani, over 65, e uno per giovani, dai 6 fino ai 14 anni, da fare a distanza di 4 anni.
Qual è dunque la sfida più impegnativa?
La sfida più impegnativa è di rendere accessibili a tutti i risultati delle nostre ricerche e, nel farlo, di tenere sotto controllo i costi. Solo così si può veramente incidere nella lotta alla sordità. L’esempio più lampante è AVATAR (Audio Visual True-To-Life Assessment of Auditory Rehabilitation), una terapia di riabilitazione completamente innovativa: un’immersione nella realtà virtuale in cui si proiettano situazioni quotidiane nelle quali ognuno di noi si può ritrovare (sull’autobus, al ristorante, a scuola, in macchina, in palestra, a casa) e durante queste proiezioni si introducono rumori, suoni e voci. Il paziente deve reagire, rispondere o compiere azioni: attraverso le risposte così è più semplice capire gli effettivi miglioramenti nel campo dell’udito e della comprensione. AVATAR è un sistema semplicissimo di test, non caro e replicabile anche in ambienti diversi dell’ospedale. È il primo test realistico del prossimo futuro.
0 commenti