Professione: le lampadine della consapevolezza e il nostro udito

Apr 28, 2025 | Professione | 0 commenti

di Francesco Pavani, Elena Gessa, Elena Giovanelli & Chiara Valzolgher*

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso il World Hearing Forum, ha scelto per la Giornata mondiale dell’udito 2025 il motto “Cambia mentalità: dai valore a te stesso”. Una frase ricca di significati, efficace, ma solo apparentemente semplice. Come ben sanno coloro che di lavoro aiutano gli altri a cambiare mentalità, ovvero gli psicologi, affinché sia possibile innescare un cambiamento nel proprio modo di pensare, nel proprio modo di vedere un problema è necessario anzitutto aver maturato il desiderio di agire per cambiare. Per dirla con una battuta che sta avendo molto successo: “Quanti psicologi servono per cambiare una lampadina? Solo uno, ma la lampadina deve voler cambiare”1.

Quando parliamo di prevenire la perdita dell’udito o di reagire al manifestarsi di questa difficoltà, le lampadine che devono voler cambiare sono, a mio parere, almeno tre. La prima è l’individuo stesso, che deve maturare la consapevolezza che un problema di udito non è un destino al quale abbandonarsi, ma piuttosto qualcosa a cui cominciare a fare attenzione ben prima che si presenti. La seconda sono gli altri individui, che devono imparare a riconoscere e sostenere il desiderio di prevenire la difficoltà uditiva e comprendere come entrare in relazione con coloro che già vivono difficoltà uditive. La terza riguarda i molti contest – educativi, di lavoro, di svago – nei quali quotidianamente ognuno di noi desidera interagire con altri o deve poterlo fare.

Se pensiamo all’individuo, il punto di partenza è maturare una consapevolezza sulle proprie capacità di udito, sia quando esse sono ancora pienamente efficienti, sia quando l’eventuale perdita uditiva comincia a manifestarsi. Essere consapevoli dei problemi d’udito non significa solo essere capaci di ricordare, per sentito dire o per conoscenza diffusa, che l’udito è un bene fragile.

Ad esempio, sapere che all’avanzare dell’età le capacità uditive solitamente si affievoliscono, o che bisogna evitare di esporsi con regolarità ai rumori forti sono concetti importanti da conoscere, ma da soli non sono sufficienti per innescare un cambio di mentalità. Rischiano di essere come il libro sulla dieta alimentare comprato, sfogliato e poi dimenticato sullo scaffale alto della libreria.

È invece importante imparare a prestare attenzione alla nostra esperienza uditiva ben prima che essa cominci a compromettersi. Riconoscere che esistono rumori che sono molto più intensi di altri, ambienti dai quali usciamo con uno stordimento acustico fastidioso e con fischi nelle orecchie, situazioni nelle quali viviamo sistematicamente la difficoltà nel comunicare con gli altri. In breve, è importante imparare ad ascoltare e ad ascoltarsi come strategia per monitorare in maniera continua le proprie esperienze uditive durante l’arco della vita.

Questa stessa abilità potrà infatti servirci più avanti, qualora un problema uditivo dovesse cominciare a manifestarsi, per accorgersi il prima possibile della difficoltà incipiente. Spesso le difficoltà di udito cominciano in maniera subdola e graduale, compromettendo l’udibilità di alcune singole frequenze, compromettendo il nostro ascolto in maniera discontinua – alcune volte di più, altre volte meno.

Avere sviluppato un’attenzione all’ascolto potrebbe permetterci di notare quei campanelli di allarme che derivano dai disagi comunicativi e di contesto che fino a qualche anno prima non ci costavano altrettanto sforzo. Una volta notati questi segnali il passo fondamentale è non trascurarli ma rivolgersi a professionisti dell’udito che possano aiutarci a monitorare eventuali cambiamenti in corso o a prendere delle contromisure efficaci. Inoltre, possono essere il meccanismo di innesco affinché ciascuno di noi metta in atto strategie più efficaci per interagire con tutti i contesti che pongono sfide acustiche, trovando la giusta posizione per ascoltare (più vicino all’interlocutore, più lontano dalla fonte di rumore), la giusta posizione per meglio vedere gli altri in volto (per sfruttare quel fondamentale contributo all’ascolto che sono i movimenti del volto e delle labbra), agendo sull’ambiente per ridurre la sfida acustica quando possibile (es., spegnendo una radio fonte di rumore, o chiudendo la porta sul corridoio rumoroso mentre si sta parlando).

Ma il cambio di mentalità non si limita all’individuo singolo, che spesso non vive le difficoltà uditive quando conduce la sua giornata in autonomia e senza interagire con gli altri. Le difficoltà uditive si esprimono soprattutto quando il singolo entra in relazione con l’altro. Il secondo ambito di cambiamento di mentalità riguarda quindi gli altri – e noi tutti siamo “gli altri” se cambiamo prospettiva. Sul fronte della prevenzione, gli altri sono coloro che possono rispettare il nostro desiderio di cura per l’udito quando ancora è in salute, sostenendo e amplificando le nostre azioni di prevenzione. Oppure possono invece rivelarsi ostacoli al cambiamento, mostrandosi poco attenti o sminuenti delle nostre preoccupazioni, o offrendo modelli di comportamento che contrastano con le idee di una buona prevenzione. Sul fronte della relazione con la persona che vive la perdita uditiva, la questione è ancora più complessa perché è molto difficile per chi non ha problemi di udito mettersi nei panni sensoriali di coloro che invece cominciano a udire con difficoltà.

Pensate a tutte le volte in cui avete scelto di trascorrere il tempo in compagnia di una persona più anziana di voi in un bar o un ristorante piacevole, dove mettono sempre belle musiche di sottofondo o piacevolmente animato da molti avventori. Questa immersione nel rumore che è per voi sinonimo di piacevole convivialità per l’altra persona potrebbe essere già un serio ostacolo alla comunicazione.

Accorgersi di questo divario fra la vostra esperienza e quella dell’altra persona non è sempre facile. Lo stigma della perdita uditiva, ad esempio, potrebbe rendere il vostro interlocutore restio a chiedervi di ripetere o a rivelare le proprie difficoltà. Tuttavia, anche fare attenzione alle espressioni del volto e alla postura del nostro interlocutore può rivelarsi prezioso per innescare quei cambiamenti che possono aiutare l’altro a comprenderci meglio. Una recente ricerca del nostro laboratorio mostra infatti che i parlanti reagiscono ai segnali non-verbali che indicano difficoltà di ascolto (es., l’aggrottarsi delle sopracciglia, il lieve protendersi in avanti dell’ascoltatore) rallentando l’eloquio, aumentando il volume della voce e cambiando l’intonazione nella direzione di un parlato più chiaro2.

Si tratta di un esempio di come nelle relazioni interpersonali potrebbero bastare pochissimi indizi per innescare cambiamenti volti a rendere la comunicazione più efficace. Tuttavia, questi indizi bisogna saperli cogliere per reagire di conseguenza.

Il terzo fronte sul quale è importante agire riguarda i contesti nei quali avviene la socialità. Non di rado, le nostre interazioni avvengono in luoghi rumorosi, nei quali abbiamo pochi margini di azione per annullare il rumore di fondo. Scuole, uffici pubblici, e attività pubbliche o private per lo svago sono ancora troppo spesso ambienti acusticamente non adeguati alle esigenze di ha problematiche uditive – e spesso nemmeno per chi le problematiche uditive non le ha ancora sviluppate!

Certo, le soluzioni di architettura e arredo possono fare la differenza, rendendo gli ambienti acusticamente meglio insonorizzati e meno riverberanti. Tuttavia, è necessario far crescere anche una cultura del rispetto uditivo dell’altro, del silenzio (o quantomeno della maggior quiete) ambientale come opportunità di benessere. E tutto questo può cominciare dai contesti educativi, che per definizione possono offrire nuove modalità per pensare e agire nel mondo, dai contesti lavorativi, dove sono già sono in vigore e sono accettati diversi sistemi di regole, e dai contesti ricreativi, dove il successo imprenditoriale deriva proprio dalla capacità di facilitare la socialità.

Immaginiamo, ad esempio, di cominciare a portare nelle scuole progetti educativi che insegnino alle studentesse e agli studenti ad ascoltare l’ambiente nel quale si trovano, a riconoscere i livelli di rumore, a notare come i turni di parola possano essere un’occasione di rispetto acustico oltre che di rispetto reciproco. Oppure, immaginiamo di introdurre fra i sistemi di regole dei contesti lavorativi, uno fra tutti i contesti manifatturieri e produttivi dove i macchinari possono essere molto rumorosi, nuovi dispositivi di protezione personale che permettano alle persone di tutelare il loro benessere uditivo consentendo al tempo stesso di monitorare i rischi dell’ambiente e comunicare con le colleghe ed i colleghi.

Non si tratta di scenari di un futuro lontano, considerato che le tecnologie per ottenere questi obiettivi stanno evolvendo molto rapidamente portando ad una concezione di protezione acustica che presto potrebbe non includere esclusivamente i tappi per orecchie e le cuffie antirumore3.

Infine, immaginiamo ristoranti o bar che promuovano la loro competitività sul mercato proponendo un ambiente (o anche singoli ambienti) pensati per essere silenziosi o quantomeno non riverberanti. Non è difficile pensare che possa diventare un criterio sul quale le piattaforme di recensioni web valutano i ristoranti e, di conseguenza, anche un criterio di scelta per gli avventori.

Il cambio di mentalità in relazione all’udito proposto dal World Hearing Forum, e rilanciato nel nostro paese da Udito Italia Onlus, non è un obiettivo utopico e molte soluzioni potrebbero essere percorse. Alcune rivolte alla consapevolezza della persona stessa; altre rivolte al rendere più consapevoli gli altri del loro ruolo comunque determinante; altre ancora rivolte ai contesti nei quali le relazioni educative, lavorative e sociali si realizzano. Non si tratta di soluzioni al di fuori della portata di una nazione come l’Italia, ma sicuramente sono di difficile realizzazione fin quando le Istituzioni non istituiranno un vero programma nazionale in grado perseguire questi obiettivi e un coordinamento nazionale che pianifichi, monitori e metta in atto questi scopi.

Note

  1. Questa battuta, attribuita alla serie animata statunitense BoJackHorseman, è anche la frase di apertura di un podcast di Daniela Collu prodotto da “Il Post” che tratta di tematiche di psicologia.
  2. Gessa, E., Valzolgher, C., Giovanelli, E., Rosi, T., Farnè, A., & Pavani, F. (2025). Will I speak louder if I see you struggle understanding? Poster presentato allo Speech in Noise Workshop (SPIN 2025), 9-10 gennaio, Lancaster, Regno Unito.​
  3. Starowicz, A., &Zieliński, M. (2024). Sustainableacoustics: The impact of AI on acoustics design and noise management. Technical Sciences, 27, 193-209.

* Francesco Pavani è professore ordinario di psicologia generale presso il Center for Mind/Brain Sciences dell’Università di Trento, e vicedirettore del Centro Interuniversitario di Ricerca “Cognizione, Linguaggio e Sordità” (CIRCLeS). Si occupa di percezione multisensoriale e metacognizione dell’ascolto in bambini, adulti e anziani con udito tipico o con esperienze di sordità, vissute con o senza ausili per assistere l’udito (es., apparecchi acustici o impianti cocleari). Elena Gessa, Elena Giovanelli e Chiara Valzolgher sono dottorande (E.Ge e E.Gi) e ricercatrice post-dottorato (C.V.), parte del gruppo di ricerca Cognition Across the Senses (CAtS) che lavora al progetto “Never stop listening! Promoting healthy ageing with enhancements to metacognition and self-regulation when listening in noisy places” finanziato dalla Fondazione Velux (Svizzera, Progetto n.1439).

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