Guai a chiamarli anziani. Intervista a Miriam Severini, vicepresidente nazionale di Federcentri

Gen 18, 2022 | Attualità, News, Professione | 0 commenti

Invecchiamento attivo, partecipazione sociale, culturale, civile, lotta all’esclusione e alla discriminazione. Sono questi i meritevoli obiettivi di Federcentri, l’Associazione che promuove una nuova qualità per i centri anziani attraverso politiche sociali, assistenziali e previdenziali, per garantire alle persone anziane di vivere in buone condizioni, sociali e di salute. Abbiamo incontrato la vicepresidente nazionale Miriam Severini, appena riconfermata nella carica in occasione dell’Assemblea nazionale che si è svolta il 30 ottobre scorso a Fiuggi che ha visto anche la riconferma alla presidenza di Elvia Raia.

Vicepresidente Severini, dal suo punto di vista chi sono i senior di oggi? Se mi chiede chi sono i senior di oggi la prima risposta che mi viene da darle è che l’anzianità è stata posticipata e che la notizia è stata annunciata in occasione del 63° congresso nazionale della SIGG (Società Italiana di Gerontologia e Geriatria) nel 2018. La soglia si è spostata da 65 a 75 anni e la nuova definizione meglio si adatta alle attuali caratteristiche fisiche e mentali dell’uomo e della donna che vivono in paesi sviluppati economicamente e alla situazione demografica della popolazione italiana.

Come è cambiata negli anni la terza età?

Un 65 di oggi ha la forma fisica e cognitiva di un 40-45 enne di 30 anni fa e un 75 enne quella di un individuo che aveva 55 anni nel 1980. In Italia l’aspettativa di vita è aumentata di circa 20 anni rispetto alla prima decade del 1900. Larga parte della popolazione tra i 60 e i 75 anni è in ottima forma e priva di malattie. La nuova soglia dei 75 anni potrebbe rivoluzionare sociologicamente e culturalmente i concetti di anzianità e invecchiamento attivo tenendo anche conto che uomo e donna hanno longevità diverse.

Potremmo dire “giovani anziani”?

Secondo un indagine della London School of Economics, condotta attraverso interviste a oltre 12mila over 65 in diversi Paesi, due ultrasessantenni italiani su tre dichiarano di non sentirsi affatto “anziani”. Quattro su dieci pensano che la vecchiaia inizi solo dopo gli 80 anni. Approccio giovanilistico o visone di una terza età senza i capelli bianchi? Non è giovanilismo ma un sano approccio alla vita per rendere più lieve il peso degli anni senza pensare solo al senso di perdita per ciò che non è più.

Purtroppo però gli anziani non sempre sono così attivi e in buona salute.

Certo. Quelli descritti potrebbero essere gli anziani che frequentano i nostri centri e che quindi traggono linfa dall’offerta aggregativa e ricreativa che in essi trovano. Esistono naturalmente poi gli anziani malati, i grandi vecchi, i centenari, per i quali il discorso si sposta nell’ambito dei guai della vecchiaia della necessità di assistenza sanitaria e non solo. La paura degli italiani più anziani è diventare non autosufficienti. Un’analisi realistica perché nessuno sta affrontando seriamente il problema degli anziani non autosufficienti. Una situazione che diventerà presto esplosiva: secondo una proiezione ISTAT nel 2050 potremmo avere quasi 160 mila centenari. Se non saranno tutti arzilli e in salute saranno guai. Intanto oggi crescono le rette per gli ospiti di strutture per anziani che sono oltre 300mila, scarso è l’interesse su questo punto.

Di questo quadro, quanto mai realistico, ne abbiamo avuto un esempio nei mesi più difficili della pandemia.

Purtroppo la pandemia ha portato in primo piano l’estrema vulnerabilità della popolazione anziana e non solo di quella affetta da importanti patologie preesistenti e concomitanti. Le principali vittime della pandemia sono state ultraottantenni con patologie pregresse. La pandemia ha acceso i riflettori su ciò che accade nei luoghi di cura comunitari, ha imposto un isolamento sociale pesante, ha reso impossibile il ricorso a cure mediche e ospedaliere o ne ha ritardato l’accesso. A queste situazioni si devono affiancare lo stress, l’ansia, la sofferenza psicologica dovuta alla interruzione repentina dei rapporti sociali, dei legami familiari, del contatto fisico così importanti non solo per la prevenzione del declino cognitivo e del benessere fisico, ma anche per la percezione di sé, ovvero essere ancora persone di valore e di senso per gli altri. Nei luoghi di cura nessun contatto fisico, nessun rapporto con l’esterno, non poter lasciare la propria stanza o la propria abitazione, dover comunicare con una mascherina magari avendo problemi di udito o disturbi del linguaggio è complicato e può avere risvolti psicologici pesanti.

Un aiuto è arrivato dalle nuove tecnologie, però non tutti gli anziani hanno potuto beneficiarne. Anche questo è un divario di cui la società deve tener conte e a cui porre rimedio.

Le nuove tecnologie a volte hanno aiutato ma a volte hanno reso la situazione ancora più frustrante e comunque non tutti hanno potuto usufruirne. Molti anziani hanno imparato a superare l’imbarazzo nei confronti dell’informatizzazione tuttavia non stiamo certo parlando di nativi digitali. Forse mai come in questa epoca è necessario lavorare con gli anziani per garantire una maggiore conoscenza degli strumenti di comunicazione digitali che, pur non volendo sostituire i rapporti sociali, rappresentano un valido aiuto contro l’isolamento sociale.

Tutti oggi parliamo di ritorno alla normalità. C’è però da chiedersi: quale normalità?

Per molti anziani il rischio più grande è non riuscire a tornare alle condizioni funzionali cognitive e psicosociali precedenti la pandemia. Un tempo non vissuto per un anziano è un tempo che non si potrà recuperare Tutto ciò ci fa concludere che gli effetti del virus hanno colpito in grande maggioranza la popolazione anziana, gli effetti delle misure di contrasto alla pandemia hanno trovato tutti impreparati, ma la debolezza e la fragilità dimostrata nella cura degli anziani fa riflettere su quanto lungo sia ancora il percorso per mettere a disposizione servizi territoriali efficienti e sostegni reali e non solo verbali.

FEDERCENTRI

Federcentri è l’associazione alla quale aderiscono i Centri Sociali e Socioculturali per Anziani ed è costituita dagli iscritti agli stessi. Possono aderire anche altre associazioni impegnate nel volontariato degli e con gli anziani, e i loro iscritti. È un’associazione democratica, senza scopo di lucro, apartitica, aperta a tutte le persone senza discriminazione alcuna. Opera in collaborazione con le associazioni che hanno a cura le persone anziane, la loro salute, i loro diritti, il loro benessere. Federcentri promuove una nuova qualità dei Centri Anziani per sviluppare invecchiamento attivo, partecipazione sociale, culturale, civile, lotta all’esclusione e alla discriminazione. Propone politiche sociali, assistenziali e previdenziali per garantire alle persone anziane di vivere in buone condizioni economiche e di salute. Interagisce con le Istituzioni e con le forze politiche per generare leggi e regole a vantaggio delle persone anziane, contro ogni tipo di discriminazione a causa dell’età.

admin
Author: admin

Articoli Correlati

0 commenti

Invia un commento